“Non chiamarla protesi. Il mio avambraccio bionico è Zebra 1”.
Agnese Romelli ha 19 anni, è paraciclista e vive a Clusone, in Valle Brembana. Nel suo presente c’è un esame di maturità a settembre in Scienze applicate e nel prossimo futuro l’università, Scienze motorie. “Poi vorrei lavorare con gli atleti paralimpici. Un mondo che amo, fatto di gente tosta, che lotta, che si aiuta”, racconta.
“Per il mio cervello ero morta. Ma ce l’ho fatta a riaprire gli occhi”.
Dal passato di Agnese spunta invece ancora il ricordo del grave incidente del 9 maggio 2018, che le ha causato l’amputazione dell’avambraccio sinistro. Quel giorno, Leone Carrara, l’amico che la seguiva con l’ammiraglia, la stava aspettando cento metri più avanti, dietro a una curva. Pioveva così forte che allenarsi era diventato impossibile. Leone sente però uno schianto e capisce che è successo qualcosa di grave. Infatti Agnese era a terra, priva di sensi, braccio e viso distrutti. La trasportano con l’elisoccorso prima all’ospedale di Piario e poi al Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Durante il tragitto il cuore si ferma più volte e in terapia intensiva i medici parlano di morte cerebrale, di espianto degli organi.
Ma Agnese beffa tutti e riapre gli occhi, ripercorrendo a ritroso il viaggio fatto in chissà quale mondo. Neppure i medici se lo spiegheranno. È successo e basta. “Non ricordo nulla, solo il risveglio agitato. Mi hanno raccontato che urlavo, perché volevo liberarmi dal catetere per correre in bagno. Alla fine mi hanno dovuta legare”. Ride e mostra il selfie scattato in terapia intensiva dopo il risveglio. Ci vuole un gran coraggio per guardarsi negli occhi.
“Ho paura, ma sono consapevole dei pericoli. Prima ero più spericolata”.
Agnese ha subito cinque interventi al braccio, uno alla testa, tre alla gamba, ma racconta tutto senza abbassare lo sguardo, fiera di avercela fatta. “Prima dell’incidente ero molto spericolata. Lo sono ancora, ma adesso sono più consapevole dei pericoli che corro quando esco ad allenarmi”.
Per informarla dell’amputazione, i medici le avevano chiesto di invitare in ospedale la persona alla quale si sentiva più legata. E Agnese ha telefonato a Diana, la sua amica del cuore. “Non ricordo la reazione, ho solo pensato: è tutto vero, allora”.
La paura di aver perso tutto, amici, scuola, il suo sport, dura poco. A due mesi dall’incidente Agnese risale in sella. Guida la bici con una mano sola e dio solo sa in che modo. Cade e si procura un trauma cranico, si riprende e risale in bici. Con le gare ci riprova dopo un anno, con Zebra 1, i colori del Team Equa Handibike di Pavia e sotto l’ala del direttore tecnico Ercole Spada. Alla fine si classifica terza ai campionati italiani categoria WC5, ottenendo poi quattro secondi posti in Coppa Europa e due piazzamenti in Coppa del Mondo.

“Come sono cambiata dopo l’incidente? Mi sento più forte, più sicura. Sono diventata anche più espansiva e comunque non mi faccio più mettere i piedi in testa“. Sono cresciuta anche grazie ai miei compagni di squadra. La mia famiglia, i miei miti”, e nomina Paolo Cecchetto medaglia d’oro ai Giochi paralimpici di Rio 2016 e Fabrizio Cornegliani, pluricampione iridato.
“Faccio tutto con una mano. Solo la treccia non mi riesce”.
Con una mano Agnese si arrangia a far tutto. “Ho fatto terapia occupazionale e mi hanno insegnato a cavarmela. Riesco a mettermi anche lo smalto tenendo il pennellino tra le labbra, costruisco origami, ricamo a mezzo punto. Con le dita dei piedi stappo le bottiglie d’acqua e mi taglio le unghie delle mani. Le stringhe, invece, ho imparato ad allacciarmele grazie a un tutorial di YouTube. L’unica cosa che non riesco a fare è la treccia dei capelli”.
Sui social, Agnese ha scritto: “A volte la differenza tra star bene e star male è piccolissima ed è anche questione di volontà. Faticare su due ruote sottilissime, al sole, al freddo e al caldo, sotto la pioggia, col vento a favore e contro, col sudore sulla faccia e col mal di gambe è la differenza che fa stare bene me. Era un sogno prima e rimane un sogno adesso, anche con un braccio in meno e non per questo sarà impossibile, proprio perché di volontà ce n’era e ce n’è da vendere! Ora inizia una nuova vita”.
Vai piccola Agnese, che la vita ti deve un sogno.
Roberta Orsenigo
Giornalista freelance
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